sabato 25 luglio 2009

L'amore sacro e l'amor profano

Ieri il Washington Times ha pubblicato un articolo sul senso di colpa e la lettura. Una maggioranza sovietica di lettori considera peccato capitale non terminare un libro: tradisce la moglie e se ne vanta con gli amici, abbandona un romanzo a metà e non lo sospira neppure al più intimo dei confessori.
Tyler Cowen, economista freak di Marginal Revolution, sostiene che perseguire una fastidiosa lettura è una scelta economicamente sbagliata. Quando iniziamo un libro, promettiamo implicitamente a noi stessi di concluderlo. Rispettare le promesse è importante. Tuttavia, più importante è correggere una decisione errata. L'economia è ricerca dell'allocazione migliore per risorse scarse. Il tempo è la più scarsa delle risorse. Se a pagina cinquanta scopriamo che Oceano Mare è un romanzo di merda, sopportare altro liquame è del tutto inutile. Invece di ostinarci su Baricco, possiamo andare in libreria e acquistare il sublime Cavalli Selvaggi di Cormac McCarthy.
Il senso di colpa della lettura parziale è un fenomeno psicologico tipicamente borghese. Prima dell'invenzione della stampa, i manoscritti erano pregiati come ametiste e solo gli aristocratici possedevano biblioteche personali. Gutenberg rese il libro un gioiello accessibile e l'ascendente borghesia si impossessò avidamente di questo status symbol culturale. Presto, tuttavia, il libro divenne un gioiello troppo accessibile. La borghesia, per proteggere dall'inflazione la recente conquista, conferì al libro un valore assoluto, non di mercato: lo sacralizzò (lo status symbol è un bene posizionale). Una delle conseguenze della sacralizzazione fu la nascita del senso di colpa della lettura parziale. Qualcuno oserebbe recitare il Padre Nostro solo per pochi versi?
Le rappresentazioni teatrali subirono lo stesso processo di sacralizzazione. Fino agli inizi dell'Ottocento, i teatri erano frequentati dalla sola nobiltà. Durante le performance, gli spettatori si alzavano ripetutamente, discutevano dei fatti del giorno, danzavano sotto il palco. A volte, facevano persino richieste agli artisti: immaginate un rubicondo marchese che incita il gracile Mozart a principiare il Dies Irae. L'arrivo della borghesia in platea rivoluzionò le abitudini di melomani e affini. Posti numerati, silenzio, compostezza. L'ultima volta che sono stato alla Scala una signora interrata dall'ombretto ha rischiato un enfisema polmonare piuttosto che un colpo di tosse.
Secondo Flaubert, non bisognerebbe mai toccare gli idoli: la patina della doratura potrebbe restare attaccata alle mani. Idolatrare i libri potrebbe riservare spiacevoli sorprese. Potremmo finire a bruciarli per fare grigliate come il detective-gastronomo Pepe Carvalho.

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