Oggi l'Economist recensisce un paper di Goldenberg e Levy. Gli autori sostengono che internet non abbia esteso la nostra rete di relazioni sociali, bensì l'abbia resa più densa. L'idea è un circolo vizioso (o virtuoso). Facebook, gmail e skype non creano nuove amicizie, mentre rafforzano quelle esistenti. Amicizie più forti implica amicizie più soddisfacenti, quindi minore incentivo per fare nuove conoscenze, quindi minore probabilità di fare nuove conoscenze.
La tesi è testata empiricamente usando un indice di dispersione geografica dei nomi per nuovi nati. Goldenberg e Levy postulano che la scelta del nome del nascituro è un processo condiviso dai futuri genitori con parenti, amici e conoscenti. Una rete di relazioni sociali è caratterizzata da una dispersione geografica omogenea di nomi per nuovi nati poichè non sono i singoli genitori a decidere, bensì la rete stessa.
La scelta del nome è un argomento che ha già attratto l'attenzione degli economisti. Nel popolare Freakonomics, Dubner e Levitt hanno confutato la tesi del nomen omen. Non c'è un rapporto di causalità tra nome e destino, ma una semplice correlazione. Se Amber o Cody hanno meno probabilità di successo nella vita rispetto ad Alexandra e Benjamin, non dipende dal fatto che Amber sia un nome nefasto mentre Alexandra un nome fortunato. Piuttosto, si osserva che genitori a basso reddito chiamano spesso il figlio Cody mentre genitori ad alto reddito chiamano spesso il figlio Benjamin. In sintesi: la causalità sta in banca, la correlazione all'anagrafe.
Tuttavia, mi sembra ci siano almeno due ragioni per rivalutare l'importanza del nome per se. Primo, il nome è un marchio. Esistono professioni dove relazionarsi con il prossimo è la professione stessa. Un nome d'impatto, facile da ricordare può essere un vantaggio (avete mai conosciuto una pr di nome Gertrude?). Secondo, il nome è un basilare carattere identitario. Un nome particolarmente cacofonico, esotico o ridicolo può diminuire l'autostima del portatore, riducendo le sue possibilità di affermazione personale. Ricordo un bambino il cui cognome era "Cazzoni". Ho sempre pensato che la sua vita fosse segnata in parteza.
Un notevole esempio sono i nomi d'arte. L'impronunciabile Audrey Kathleen van Heemstra Ruston sarebbe un'eterna icona di eleganza priva d'un soave pseudonimo? Robert Allen Zimmerman avrebbe avuto la forza interiore di rivoluzionare la cultura popolare del ventesimo secolo senza un mitomane rimando al poeta Dylan Thomas?
E una rosa avrebbe davvero lo stesso dolce profumo se fosse una petulante petunia?
Nessun commento:
Posta un commento